Serenità

S'io dovessi tornare al tuo giardino

(non tornerò, non tornerò), vorrei
salir fra i caprifogli e le vitalbe
al chiosco che s’affaccia alla campagna:
queto rifugio ove fiorisce il glicine
coi pesanti suoi grappoli, nel maggio.

Tu venivi lassù, con me, nel maggio;
e contemplavi i grandi irrigui prati
colmi di pace, mormorando: «Bella
è questa terra; e pur nati non siamo
per questa terra.» Una serenità
senza nube ridea sulla tua fronte
lunare: in te, che il male ancor distesa
non avea la sua croce, era già pronta
l’offerta, detta la parola estrema,
chiuso il pensiero all’ultima speranza.
E t’era dolce stendere la mano
ai fiori: dolce, sì; ma come a cosa
che, mentre passa, è già passata; e il cuore,
mentre l’accoglie, già le disse addio.

Tratta dalla raccolta: 
Il dono
Numero d'ordine: 
50