XXXI Dicembre

Trentun dicembre, mille e novecento
undici, mezzanotte. — Taci e pensa,
anima. — Nella vigile ed intensa
tua fiamma, vivi; ma il destino è spento.

Più non si specchia innanzi a te il domani.
Nulla aspetti, né chiedi. La speranza
sparve, col sogno. Il tempo che t’avanza
sarà come la sabbia fra le mani.

Troncato è il laccio che alle creature
t’avvinse, pel tormento e per l’ebbrezza.
— Lontanissima, e sola. — Hai l’aridezza
della rinunzia sulle labbra dure.

Nella rigida notte, aspre le stelle,
simili a chiodi per martirio infissi
nelle volte dei cieli, entro i tuoi fissi
occhi incrociano l’iridi sorelle.

Fuor del tempo, del peso e dello spazio,
da te sorta, in te chiusa, in te bastante,
stai. Si consunse il corpo palpitante
nelle stimmate stesse del suo strazio.

Quel che ti scosse, amore, odio, rimorso,
quand’eri carne appassionata e cuore
schiavo, e fece di te tutto un dolore
vile, in ansia di tregua o di soccorso,

or cadde: è cencio a terra, è coccio a mare.
Nuda or tu sei fra veli d’aria: forte
di te soltanto: e ignori se sia morte
o vita la tua nova alba stellare.

Vegli fra due voragini, in oblio.
.... Vuoto di solitudini senz’orme,
rombar sordo di fiumi, alito enorme
di venti, ombre di nubi....
        Ascolta. — È Dio. —

Tratta dalla raccolta: 
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