Il vuoto

Oggi ti cerco e non ti trovo, non sei né in me né presso di me.
Non so qual colpa io abbia commessa, perché tu mi punisca nella luce della tua presenza.
O signore, se tu m’abbandoni, che vuoi che avvenga della tua creatura?
La mendica che stende la mano trova pur sempre la mano soave nel porgerle aiuto.
Di lei più nuda e più cieca, io che brancolo al buio dopo averti perduto, signore.
Andrò sino al cancello dell’orto: forse ti sei nascosto dietro il gruppo dei tre pinastri.
Andrò sino in fondo alla strada: forse mi attendi al limite dei campi.
Andrò sino alla riva del mare: forse la tua voce mi chiamerà dalle acque.
Andrò sino agli abissi dei cieli: forse dentro una tomba stellare la tua stretta mi riavvinghierà
La follia
Una foglia cadde dal platano, un fruscio scosse il cuore del cipresso:
sei tu che mi chiami.
Occhi invisibili succhiellano l’ombra, s’infiggono in me come chiodi in un muro:
sei tu che mi guardi.
Mani invisibili le spalle mi toccano, verso l’acque dormenti del pozzo mi attirano:
sei tu che mi vuoi.
Su su dalle vertebre diacce con pallidi taciti brividi la follia sale al cervello:
sei tu che mi penetri.
Più non sfiorano i piedi la terra, più non pesa il corpo nell’aria, via lo porta l’oscura vertigine:
sei tu che mi travolgi, sei tu.

Tratta dalla raccolta: 
Il Libro di Mara
Numero d'ordine: 
14