Piazza di San Francesco in Lodi

Torno a quei dì, rivivo il sogno antico
nella piazza deserta. È pur quell'erba
fra pietra e pietra; e quel silenzio, intorno;
e a destra e a manca, quelle strette vie
piene di sole, ov'io spiavo, dalle
chiuse pusterle - un lampo era negli occhi-,
maraviglie di chiostri e di giardini.
Dal vano delle due bifore ancora
sorride il cielo con pupille azzurre
sulla facciata del mio San Francesco:
sguardo di bimbo in tormentato volto
di vegliardo che tutto a me perdona.
S'entro nel tempio, presso la cappella
dei Fissiraga rivedrò la panca
dov'io conobbi i rapimenti primi
della preghiera; e tra la pinta selva
delle colonne cercherò la mia
Madonna, quella che adorai, che mia
soltanto fu, che nel ricordo augusta
sempre mantenni, come là sul plinto:
chiusa in un manto d'ermellino, bianca
imperatrice al divin Figlio serva.

Ma non entro. Non oso. Ai piedi l'erba
crescere ascolto fra le pietre; e attendo
non so quale miracolo, che desti
in me l'adolescente addormentata.
Forse, piccola, rapida, col bruno
scialletto a frange, con la quadra faccia
pronta al sorriso, verso me, nel sole,
verrà mia madre. Mi dirà: «Non sai
ch'é festa? Vieni, figlia: andiamo ai vespri.»
Sì, mamma: andiamo. Il nostro dolce tempo
non è passato. Tu sei viva. Il mio
corpo ancora non sa d'essere un corpo,
come il virgulto ancor non sa qual fiore
celi. Non feci il male, non commise
il male altri per me, nessuno il piede
mi calcò sopra l'anima, che illusa
s'era, per lui, di gioia. Non é vero
che adesso é tardi, che non basta ormai
quel po’ d'anni o di giorni a rifar l'opra
che fu dispersa, a rimediar l'errore
che fu compiuto, a richiamar chi fugge.
Andiamo ai vespri. Della mia sì dura
alla sua pena, sì tenace al giogo
che a se stessa costrinse, infausta vita,
nulla voglio rimanga in questa terra.
Sol la mia fanciullezza, sulla soglia
della mia chiesa: e tu, mamma: e nel cuore
segreto il germogliar della speranza.

Tratta dalla raccolta: 
Vespertina
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15