Sgombero forzato

Miseria. — La pigion non fu pagata.—
A rifascio, nel mezzo de la via,
la scarsa roba squallida è gettata.
Quello sgombero sembra un’agonia.

La tenebrosa pioggia insulta e bagna
il carro, i cenci, i mobili corrosi
dal tarlo, denudati, vergognosi.
V’è un’anima là dentro che si lagna;

e il letto pensa al disgraziato amore
ch’egli protesse, e che le membra grame
di due fanciulli procreò a la fame,
o del tugurio maledetto amore!...

E scricchiola fra i brividi: «Chi il dritto
diede a la donna schiava e mal nudrita
di crear per un bacio un’altra vita
d’angosce?... amor pei poveri è delitto.»

Sotto la pioggia il carro stride. Dietro,
un operaio scarno, a fronte bassa,
segue la sua rovina. — Ei muto passa,
ombroso il guardo, e non si volge indietro;

e a lui presso è la donna, la piangente
lacera donna, con due figli. — E vanno
senza riposo, e dove essi nol sanno,
e la pioggia li sferza orrendamente:

un austero dolor che par minaccia
per entro ai cenci ammonticchiati freme,
freme nel carro che cigola e geme,
nei quattro erranti da l’emunta faccia:

quella guasta mobilia denudata
che in mezzo al fango a l’avvenir s’avvia,
quella miseria che ingombra la via
sembra il principio d’una barricata.

Tratta dalla raccolta: 
Tempeste
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7